martedì 4 settembre 2018

“ È MÒ SONO ….. AMARI”- STORIE DI PERSONE, PASSIONI, CANTIERI DI GIUSEPPE MARINO - UNA VITA DI LAVORO IN PRIMA LINEA

                  La torre, simbolo della Nuova Fiera di Milano, durante i lavori al cantiere




La torre, della Fiera dei Primati, ricoperta di acciaio inox

                                               
   Giuseppe Marino è nato a Reggio Calabria il 22 novembre del 1939, la mamma di Siderno (RC), il papà, nato ad Augusta, è vissuto per tanto tempo a Catania. Pino fino alla laurea in Ingegneria civile ha vissuto tutte le estati fra Catania e Reggio Calabria.

   
   Ha frequentato il Liceo Classico e gli studi universitari a Roma. Ha scalato, dal basso, i vertici della società Astaldi S.p.A. fino a ricoprire  l’incarico di Direttore Generale dal 1996 al 2002, anno nel quale la società è stata quotata in borsa. Ha messo le mani, i piedi e, soprattutto, la testa nelle esecuzioni di lavori/opere importanti, alcune molto importanti. Ha cominciato, negli uffici di Roma, a 26 anni, elaborando buona parte dei calcoli statici e della progettazione esecutiva del cantiere di Pizzo Calabro, sul fiume Angitola dove era in costruzione, a tutt'oggi, “il viadotto ferroviario in cemento armato più lungo d’Europa”, 1132 metri,  60 metri sopra la campagna, per il  raddoppio della linea ferroviaria calabra. Un’opera importante, sotto i cui ponti siamo passati decine di volte, ammirandone struttura ed imponenza, ma ignorando il suo contributo alla realizzazione di questa opera.  
    Nel mese di ottobre del 1966 tutti i calcoli sono pronti. Immaginando quale grande organizzazione di cantiere sarebbe stata necessaria per mettere in opera i 100.000 metri cubi di cemento armato, dà la disponibilità per cominciare a “mettere i piedi nel fango”, come ripete spesso nel suo libro. Vuole andare a fare esperienza nel cantiere. Nel novembre dello stesso anno, come vice-direttore del cantiere, avviene il “battesimo”, nel Viadotto Angitola. Il suo capo è l’ing. Ottorino Zalposchi.  Dopo alcuni mesi, quando i continui attacchi febbrili costringeranno l’ing. Zap (come affettuosamente lo chiama lui) a doversi trasferire in ospedale per potersi curare bene, il nostro Pino ha dovuto prendere il suo posto ed ha provato, sulla sua pelle, come un giovane/guagliune ingegnere deve imparare a sapersi imporre sui veterani dell’azienda e del cantiere e sui presuntuosi gonfi e tronfi che si trovano in ogni dove nella vita di ognuno di noi. Far passare alcune linee, che lui riteneva più opportune nella prosecuzione dei lavori e nel far rispettare i tempi di lavorazione in previsione della consegna dell’opera, non è stato facile fino a quando non si è verificato “un incidente”, quasi opportuno, per mettere in riga tutti gli operanti nel cantiere.  Una mancata consegna ripetuta gli fece salire “il sangue agli occhi….avevo i nervi tesi come una corda di violino….dopo averlo alzato da terra, me ne andai in ufficio urlando che lo avrei spedito a Roma e non lo volevo avere più fra i piedi. Dopo un poco ripresi il controllo, ma radio cantiere aveva subito sparso la notizia”. Dopo il fatto c’era  “un atteggiamento diverso, un po’ meno confidenziale da parte di tutti…il geometra furbetto venne dopo qualche ora a scusarsi con la coda fra le gambe e da quel momento si rivolse sempre dandomi del lei, dimenticando il tu che prima ogni tanto gli scappava”.

Il Viadotto Angitola, ancora oggi, è il più lungo viadotto  ferroviario d'Europa in cemento armato    
  
   È in questo cantiere che il nostro autore si è fatto le ossa ed ha formato un piccolo gruppo, una squadra che poi lo seguirà nelle tante altre opere che lo hanno viso protagonista di primo piano: opere ferroviarie, stradali, idrauliche, di edilizia civile ed industriale. Uno fra questi collaboratori è stato Costantino Sarra, “il magazziniere per eccellenza”. Aveva la sola licenza elementare, ma una intelligenza fervida e tanta saggezza contadina. Parlava il “costantinese”, ma era capace di saper gestire un magazzino grande fino 1.000 mq, sapeva dove era collocato ogni pezzo di ricambio per qualunque mezzo del cantiere o altra cosa utile alla bisogna.
   Sono tante le esperienze che vengono raccontate nel libro, con tantissimi dettagli e spunti per la gestione di un cantiere, di una grande opera. Noi vogliamo soffermarci, in particolare, su quella relativa alla costruzione di una acciaieria nella Germania dell’Est (la DDR), “L’altra faccia del muro” e fare un cenno a quella della Fiera di Milano, “L’ultima scommessa”. Ma prima di parlare di queste due esperienze vogliamo mettere in risalto quello che per l’ing. Marino è diventato un metodo, una sorta di credo operativo: “nel progettare un’opera, non si può prescindere dalle conoscenze di base apprese negli studi, ma quando poi la devi costruire occorre un’organizzazione adeguata in termini di macchine, attrezzature, impianti, e soprattutto di uomini. Se non riesci a mettere a mettere al posto giusto tutti i pezzi di questo puzzle, ti porti dietro tanti di quei problemi che possono pregiudicare la buona riuscita del lavoro, o quantomeno di aumentarne il costo, col rischio di compromettere la sicurezza e la durabilità dell’opera stessa”. Alla luce dei gravi e luttuosi fatti avvenuti a Genova, nelle scorse settimane, sia nel lontano che nel recente passato, queste parole fanno pensare, dal momento che sono state "il suo credo", fatte proprie e messe in pratica quando già  era ancora un giovane ingegnere.
   Alla fine del 1973 il nostro ingegnere completa la consegna della seconda acciaieria dell’Italsider, 1.200.000 tonnellate/anno (Ilva), a Taranto. Nel 1974 viene promosso dirigente dall’Astaldi. Nel 1977 gli affidano una importante impresa: costruire, di sana pianta, una acciaieria di 600.000 tonnellate/anno nella Germania comunista, nella regione del Brandenburgo, a circa quaranta chilometri da Berlino Est.  La Danieli S.p.A., che mette le tecnologie, è la società capofila del consorzio di imprese, la Astaldi viene designata come responsabile dell'esecuzione di tutte le opere civili.
   “Io non conoscevo una sola parola di tedesco, nessuna impresa italiana era andata a lavorare nella Germania comunista dopo la seconda guerra mondiale, avremmo dovuto costruire un campo abitativo di 1.200 persone”.  
   La costruzione del Muro cominciò con i primi di agosto, sul Corriere della Sera del 24 agosto 1961 uscì un approfondimento dal titolo: «Berlino, polveriera del mondo».
    A casa sua non sono certo felici per questa scelta, “fu un trauma per mio figlio di otto anni, che non aveva più il coraggio di farsi vedere in giro per la vergogna che il papà avesse abbandonato la famiglia”. "Dire di no, non me la sentivo, non rientra nel mio carattere", ma “una nuova impresa in una terra tutta da scoprire, con tanta letteratura fantapolitica e di fatti di cronaca che parlavano di guerra fredda, di vicende di spionaggio, sotto un certo aspetto, mi attraeva”. Alle difficoltà connesse all'impresa da realizzare se ne aggiungevamo due molto spinose, “le modalità di progettazione e i visti d’ingresso in DDR”. Senza trascurare, come problema, quello relativo al “cibo”. Noi, qui, vogliamo accennare a quello sui "visti". Un dettaglio che  fa sorridere, ma darà l’idea, scorrendo questo capitolo, di quel che il gruppo guidato da Marino ha dovuto affrontare. 

   Questa foto, anche se in misura limitata, può dare l'idea della grandezza del  cantiere nella DDR 

   La sera, prima di attraversare la frontiera della DDR, una squadra di dodici persone, friulani e “romani” (per tutti quelli che non lavoravano in Astaldi, chiunque lavorasse in Astaldi era "romano") trascorrono una serata al ristorante per cominciare a conoscersi un po’. La mattina alle sei, un’auto ed un pulmino si addentrano in un’area che già mette paura: non ci sono alberi, ma barriere di filo spinato, più avanti specie di cavalli di Frisia, poi i Vopos  (poliziotti) con cani poliziotti, una radura erbosa  con  tante mine antiuomo, subito dopo, su una torre di vedetta, alta come come una palazzina di tre piani, erano posti dei fari e delle mitragliatrici.
   Un poliziotto prende visti e passaporti e va nell'ufficio. “Scendo per sgranchirmi le gambe e cominciai a contare le persone dentro il pulmino. Contai una volta, poi una seconda volta, ma il conto non tornava! …….dai e ridai venne fuori che al momento della partenza, Tommasino, per un bisogno impellente, si era allontanato, così noi eravamo partiti ed il pulmino ci era venuto dietro”.
   L’interprete spiega la situazione. Non potevano lasciarlo lì senza soldi e senza bagaglio. Una macchina con due persone sarebbe andata a prenderlo. Il soldato non poteva autorizzare una cosa così strana!!, Marino e i suoi insistono, viene coinvolto nella decisione un ufficiale che a prima botta sbotta “unmoeglich”, impossibile. Dopo aver spiegato che erano quelli dell’acciaieria l’ufficiale, restituiti i documenti, dice: “ uscite fuori tutti, qui non siete mai arrivati!! Andate a prendere il vostro collega  e ritornate di nuovo”. Quelli della DDR vivevano con una esasperazione parossistica il fatto che chiunque si sottraesse al loro controllo potesse far uscire foto, informazioni, notizie verso l’occidente.  Questo capitolo, in particolare, offre, a chi ne ha sentito solo parlare vagamente, una esperienza che va oltre l’immaginazione perché le cose che ci racconta Pino su quel mondo, prima della caduta del muro (1989), sono tutte “vere”

La colata d'acciaio di prova dell'impianto prima della consegna ufficiale

   In certi momenti il nostro ingegniere è un fiume in piena mentre trascrive, mette in ordine i lucidi ricordi che si susseguono nella sua mente. Ci ha confessato: “mentre stendevo questi capitoli, mi capitava, dormendo ormai poco, di svegliarmi molto presto. La mia memoria ripercorrendo quanto già trascritto riusciva a pescare un dettaglio che nella stesura precedente mi era sfuggito, allora subito mi alzavo, accendevo il pc e mi rimettevo a scrivere”.
   Superate le tante difficoltà, l’acciaieria, come da contratto, fu inaugurata, dopo solo 29 mesi, il sette ottobre 1979!!
   Dopo il 1980, con il consenso di Gianfranco Astaldi (“come un padre per me”), Teodorico De Angelis, come a.d., fa compiere un salto di qualità alla Astaldi e la pone nelle condizioni, svecchiandola, di poter concorrere alle nuove sfide che i tempi ora richiedevano, alla pari con altre società concorrenti sul piano della logistica e delle infrastrutture tecnologiche,.
   Non sono da trascurare nella lettura i passaggi di quando il nostro ingegnere ha attraversato i terreni melmosi di tangentopoli o di quando ha saputo rinunciare alla costruzione della diga Blufi, in Sicilia, senza doversi e volersi piegare alle pressioni, ai divieti ed agli impedimenti pretestuosi creati ad arte dai vari uffici (dalle 15 cave di pietra che circondavano la costruenda diga, il cantiere, da lui diretto, non riceveva i permessi per prelevare il materiale necessario per cominciare i lavori. Guarda caso le cave autorizzate erano quelle molto distanti dal cantiere!!!).

Il cardinale Tettamanzi celebra, dentro il cantiere, il Natale del 2003 (di spalle l'ing Marino)

   Come accennavamo “L’ultima scommessa”, è la costruzione de “Il Nuovo Polo Fieristico”, all'estrema periferia della città di Milano, nei comuni di Rho e Pero. Questa opera (2002-2005), voluta dalla fondazione “La Fiera di Milano”, rappresenta una sorta di fiore all'occhiello della sua carriera che lo aveva visto protagonista in tanti lavori importanti, a partire, appunto, dal 1966.
 Tante sono le esperienze contenute negli undici capitoli del libro. Molto spesso queste sono legate/comparate con  lucidità ai fatti ed agli avvenimenti politici sia del tempo che a quelli di stretta attualità.
   Pensiamo che molti giovani laureati nei vari rami di ingegneria ed i diplomati con un titolo di studio tecnico possano trarre spunti dalle tante note importanti e molto professionali contenuti in “È Mò Sono ….. Amari” - Storie di persone, passioni, cantieri e….poi percorrere una brillante e luminosa carriera pari a quella di Giuseppe Marino.

   Salvatore Spallina



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