martedì 10 dicembre 2019

TOSCA A NOTO - AGOSTO 2014




   Anno 1800. Il prigioniero politico Cesare Angelotti, da poco evaso dalle carceri di Castel Sant’Angelo, si  rifugia nella  Chiesa di S. Andrea della Valle a Roma. Nella cappella di famiglia della sorella, la marchesa Attavanti,  sa di trovare rifugio e dei vestiti da donna. Il pittore Mario Cavaradossi   in Chiesa sta ritraendo  l’immagine di Maria Maddalena, ma con il volto della Attavanti, vista più volte nella cappella a pregare. Mario riconosce  e soccorre  Angelotti, a cui lo lega la stessa ideologia libertaria.
   Mario  è imbarazzato dall’improvviso arrivo della cantante Tosca, sua amante. Ella vede e riconosce il volto del quadro. Si altera pensando la sua rivale in amore. Cavaradossi riesce a congedarla con un  un appuntamento per quella stessa notte alla sua villa. Angelotti  lascia la Chiesa.  Il temutissimo barone Scarpia, capo della polizia, è giunto in Chiesa sulle tracce del prigioniero. Da alcuni indizi significativi (un paniere con poco cibo, il quadro, un ventaglio) si convince  che Cavaradossi ha aiutato Angelotti a fuggire. Tosca rosa dall’ansia torna in Chiesa. Cade nella trappola delle insinuazioni di Scarpia e si precipita verso la villa di Cavaradossi. Scarpia la fa seguire. Il suo piano diabolico prende già forma “l’uno al capestro, l’altra tra le mie braccia”. Scarpia, al piano superiore di Palazzo Farnese, cena in attesa di notizie sulla cattura dell’evaso. Cavaradossi, arrestato, è portato davanti a Scarpia. Tosca, invitata al Palazzo, incontra Mario che sta per essere interrogato. Ella con qualche abilità elude le prime domande di Scarpia. Ma quando sente le urla di Mario, torturato nella stanza accanto, rivela il nascondiglio dell’evaso. Mario, sanguinante, condotto nella stanza di Scarpia comprende che lei ha svelato il nascondiglio. Lei: “pietà di me”.  Intanto giunge la notizia della vittoria di Bonaparte a Marengo. Cavaradossi inneggia alla libertà. Scarpia svela a Tosca i suoi morbosi desideri e in cambio del corpo di lei offre quello di Mario. Lei dapprima rifiuta, poi, alla notizia dell’imminente fucilazione di Mario, cede al ricatto. Scarpia, presente il fido Spoletta, le fa credere di predisporre una falsa fucilazione per salvare Cavaradossi, ma nella stessa conversazione, con linguaggio cifrato, ordina a Spoletta un’esecuzione regolare.
   Tosca esige che predisponga un salvacondotto che consentirà  ai due amanti di fuggire. Scarpia si appresta a scrivere. I suoi  occhi intenti sul foglio non vedono quelli di Tosca che adocchiano un coltello affilato sul tavolo.  “Tosca, finalmente mia”, Scarpia si avventa su di lei. Tosca lo colpisce mortalmente al cuore. Sta per uscire: “Tutta Roma tremava davanti a lui!”. La scena si chiude con un moto religioso, Tosca poggia due candelabri accesi ai lati del corpo, stacca dalla parete un crocifisso e lo appoggia sul petto di Scarpia.
Intanto a Castel Sant’Angelo sono in atto i preparativi per la fucilazione, Cavaradossi nei suoi pensieri fa scorrere i fotogrammi d’amore che lo legano a Tosca. Ella giunge con il salvacondotto, confessa l’omicidio di Scarpia, illustra a Mario la messinscena della falsa fucilazione e si allontana. Assiste, come a teatro, ad una scena della quale è partecipe. Ma ben presto comprende il tragico epilogo, la fucilazione era vera. Le voci degli scagnozzi di Scarpia che inveiscono contro di lei  fanno capire a Tosca di non avere scampo, dopo aver invocato la punizione divina  per Scarpia sale sul parapetto del Castello e si lancia nel vuoto.
   Giacomo Puccini scava con la sua musica tra le pieghe dell’animo umano per cercare di trasferire nelle note quei sentimenti con i quali gli uomini esprimono ed esaltano pensieri ed azioni che manifestano sia la grandezza e la nobiltà d’intenti al pari di azioni nefaste e orribili.


   Grida, standing ovation e un lunghissimo applauso finale ha decretato il pieno successo di Tosca da parte del numerosissimo pubblico che si è goduto uno spettacolo straordinario dai gradini della cattedrale di Noto. 
   Sensazioni forti, belle emozioni, momenti magici.  Michele Pupillo ha diretto orchestra, coro e cantanti con la maestria di sempre. L’Orchestra Mediterranea Siracusana e Coro hanno dato il loro meglio in uno scenario incantevole. Maurizio Amaldi  con la sua direzione scenografica ha fatto felicemente sposare  strumenti tecnologici avanzati con la tradizione ambientale ottocentesca. 
   Palazzo Ducezio con il suo affaccio prospiciente sulla Cattedrale ha offerto al Coro la possibilità di un intervento dall’alto, sulla scena principale, veramente suggestivo. Determinante il contributo dei cantanti:  Michele Mauro (Mario Cavaradossi), maturo e deciso, Piera Bivona, (Tosca) brillante e passionale, Paolo La Delfa (il cattivo Scarpia), (contralto e regista) con il piglio e la classe di sempre. Hanno contribuito al successo anche Maurizio Muscolino ( il sacrestano), Daniele Bartolini ( Cesare Angelotti),  Mariano Brischetto  (Spoletta), Rita Patania, nelle vesti del pastore e di maestro del Coro delle voci bianche (la Cantoria), Maria Grazia Di Giorgio (Maestro sostituto e aiuto regista).



                                                                                                           Salvatore Spallina

lunedì 4 novembre 2019

LE SCELTE MIRATE DEL CARDINAL RUINI NELLA GUERRA APERTA CONTRO PAPA FRANCESCO





   Il cardinale Camillo Ruini quando  i conservatori lo chiamano risponde, risponde sempre, presente!!. Che sia la politica politicante o sia la politica clericaleggiante lui risponde sempre, presente!!. E sa farlo da par suo, con finezze argomentative non occasionali, con ragionati messaggi che sanno di andare a cercare, dentro la pancia dei molti, quei temi che sono diventati veri e propri cavalli di battaglia contro papa Francesco, ed in modo specifico su problemi ben definiti, a cominciare dal più preoccupante, il populismo porta al totalitarismo.  

   Tante delle scelte di Papa Francesco disturbano assai!!!

   Ieri sul Corriere della Sera con un’intervista (una sorta di fuoco di fila ben congegnato, che fa il paio con le dichiarazioni dell’ex nunzio Carlo Maria Viganò sul caso Emanuela Orlandi, ) spende la sua potenza di fuoco conservatrice a favore del capo della lega, per giustificare determinati atti, quando giura sul Vangelo a piazza Duomo a Milano  e per quelle decine di volte che il Rosario o il Crocifisso è stati branditi a difesa di valori o di precisi punti di riferimento, quando invece, in realtà, intenzionalmente andavano nella direzione opposta. 
La campagna d’inverno proiettata nelle prossime tornate elettorali è stata aperta in maniera netta. Ma Francesco non si lascia intimidire e continua a perseguire le sue scelte.
Le parole di Ruini attizzano il clima che apre alla logica del tanto peggio tanto meglio, pur se camuffate da ipocrisie e falsi perbenismi.

   Il Cardinale non è nuovo a questi interventi. Alla fine degli anni ’80 veniva invocata, da più parti, all’interno del mondo cattolico e della stessa Chiesa, una pastorale antimafia.  La presa di posizione del cardinale Camillo Ruini, all’epoca segretario della Conferenza Episcopale, non si fece attendere. Con il suo solito stile si mise in mezzo dicendo che nel diritto canonico venivano contemplati gli atteggiamenti  e i comportamenti che gli uomini di Chiesa dovevano tenere nei confronti della mafia e  dei mafiosi.

   Per fortuna Giovanni Paolo II con l’intervento, nella Valle dei Templi, del 09 maggio del 1993 aprì un percorso nuovo che però ha sempre bisogno di essere rinvigorito e rafforzato.

sabato 29 giugno 2019

QUANDO UN MINCHIA DI MARE TROVA IL PROPRIO SÉ


   Un romanzo di formazione è sempre qualcosa di unico nella vita, nella storia di uno scrittore. A noi è molto piaciuto “Minchia di mare” di Arturo Belluardo, Elliot Edizioni 2017. I romanzi di formazione lasciano tracce, spargono semi, fanno tornare alla luce imprinting in leggero o totale oblio nel lettore.
   I temi che affronta il libro seguono linee e chiavi di lettura particolari, ma appena ci si immerge dentro diventano familiari e la memoria cuce le varie sezioni/capitoletti in maniera piacevole e con i giusti raccordi. Il linguaggio segue un percorso suo, una sorta di archeologia linguistica, come ha avuto modo di definirla lo stesso autore, che fa del linguaggio dialettale parlato la cifra principe di tutto il romanzo. L’abilità con le quali Belluardo usa più di una impronta linguistica rende la sua scrittura ancora più accattivante, forte, a tratti profonda. 
   Davide è un ragazzo che vive la condizione tipica giovanile/esistenziale di una città di provincia, a casa sua si parla solo in italiano, ma il dialetto gli è entrato nel sangue e nella testa giocando e frequentando i ragazzi del quartiere popolare dove abita e che frequenta tutti i giorni. È alla ricerca del proprio Sé per poter credere che ha le capacità di poter costruire progetti di vita lontani dall'ambiente familiare, scolastico, amicale dove si esaltano, a continua dismisura, le sue debolezze caratteriali, dove cercano di convincerlo  che non vale molto e che quelli che lo  attorniano stanno una spanna sopra.

     Valerio Vancheri e Arturo Belluardo alla libreria Gabò per la presentazione del libro nel marzo 2017
   
   Il padre di Davide Buscemi è un comunista, senza Rolex, in realtà vive la dimensione ideologica a modo suo, a suo uso e consumo. Legge L’Unità, frequenta la sezione del PC, è insegnante nello stesso Liceo Classico Gargallo di Siracusa frequentato dal figlio Davide. I protagonisti di questo romanzo sono i componenti del resto della famiglia, Ianu e sua mamma Sara. Benito, Benni Buscemi, il padre, è il dominus assoluto, presuntuoso e violento, alza pesantemente le mani su tutta la famiglia, considera il figlio più grande Davide una minchia di mare, “minchia e mare”, un modo di dire siracusano, per denominare un’oloturia,  un animaletto marino, senza spina dorsale. Davide Buscemi, pur in mezzo alle sue fragilità esistenziali cercava di fortificare le sue certezze che poi gli hanno consentito di trovare la “sua strada”.

  I grandi avvenimenti internazionali e nazionali che hanno fatto storia, come l’allunaggio della Apollo 11, la strage di Piazza Fontana, la morte violenta di Pier Paolo Pasolini, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro,  il teatro di Eduardo, i grandi film come Fuga per la vittoria, il Dottor Zivago, i concerti dei Talking Heads, la musica di Lou Reed, i grandi successi musicali, in tv, di Raffaella Carrà, le feste patronali, la vita dell’oratorio frequentato da Davide, sono filtrati dai passi, anche colti, del dire e non sono mai fuori posto.
   Alcuni momenti narrativi hanno lasciato in noi un segno. Ne vogliamo citare qualcuno. Un paio, nella seconda parte, nel capitolo “La morte del Calippo”, il suo motorino vecchio e scassato regalatogli dalla nonna.
   Il primo è legato ad un momento tragicomico, quando Rosa, di due anni più piccola di Davide, la sorellastra, figlia di suo padre viene portata a casa per unirsi alla famiglia.  La mamma di Rosa è la prostituta Li Puma Carmela. Per un periodo il professore Buscemi ha convissuto con lei. Dopo la morte della prostituta i Carabinieri lo obbligano a prendersi in carico la figlia. 
   "Mi giro verso mia madre. Ma mia mamma non c’era più. Dei conati strozzati rimbalzavano n’arreri la porta del bagno…….“La sputazzata mi era partita quasi senza volerlo,  uno scracco  pieno e tondo, con delle remature verdastre che aveva già pigghiato Rosa in piena faccia”.
Il secondo momento, ancora dentro questo capitolo, è quando  mamma Sara, il giorno dopo, disperata per l’umiliazione subita dall'imperio del marito, va a scuola, prende il motore del figlio prima che lui esca e appoggiandosi, china sul manubrio piange, singhiozza, tornando verso casa, sul marciapiede del Lungomare di Levante spazzato dai cavalloni che, frangendosi sulla barriera di massi, imbiancano la strada con la schiuma e le inzuppano i vestiti ed i capelli. Davide raggiunge la madre, la stringe forte a sé. 
   “Pareva un pupo a cui avessero tagliato i fili, Bradamante sconfitta da Rodomonte. Piangeva talmente tanto che non distinguevo più le sue lacrime dagli sgricci dei cavalloni”. “Tu te ne devi andare, mà, Te ne devi scappare”.
   E poi ancora nel capitolo “Alle spalle di Minosse”, nome con il quale spesso Davide apostrofa il padre.  La scena si svolge a casa del nonno Davide, il padre del padre, per la cena di Natale. C’è qualche piccolo trambusto a tavola.
“Davide, è per te”.
“Pimmìa, zia? Sicura sei? Ma chi è?”
“E che ne sacciu? Voce di fimmina è”.
“Eh, il nostro Davide grande si fece. Le fimmine lo cercano pure per Natale” ridacchiò mio zio il questore.
“Buttai il tovagliolo sul piatto e corsi in corridoio. Rosa doveva essere.
“Davide…Buon Natale, Davide”:
La bachelite niura della cornetta mi si raggelò sull’auricchia, il cuore mi acchianò in alto e poi mi precipitò nelle scarpe.
“Mamma? Sei tu mamma?”.
“Davi….”
I peli russi di una manazza piombarono sui pulsantini bianchi della forcella, interrompendo la comunicazione!.
Nelle cavità oculari di mio padre s'affocavano due braci, gli occhi di Minosse”.

Ce ne sono tanti altri, ma ci fermiamo qui e rinviamo, naturalmente, alla lettura del libro.




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          Arturo Belluardo al solarium Nettuno a Siracusa per la presentazione di Calafiore

   Le due foto, la prima del 2017 e questa sopra, di qualche giorno fa, ci danno l'idea giusta del lavoro dell'autore sul suo corpo a dispetto di dover ammettere che "chi perde peso lo perde solo in apparenza perchè si resta sempre grassi dentro". Noi crediamo che questo lavorio abbia prodotto benefici effetti e ci apprestiamo ad approfondirlo leggendo Calafiore.  

    
Salvatore Spallina



   *Arturo Belluardo(1962) è nato e cresciuto a Siracusa, ha lasciato la città a diciannove anni, oggi vive a Roma e lavora alla Direzione Crediti del Banco Popolare. Ha alle spalle dei lavori di scrittura che l’hanno posto all'attenzione del pubblico dei lettori e degli amanti del teatro, ad esempio, con Scatola a sorpresa portato in  scena al Teatro Biondo di Palermo, ancora a Palermo è stato rappresentato il monologo La volta che mio padre m’imparò a volare. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati, Il ballo del debuttante  è stato segnalato al premio Premio Calvino 2016.
Minchia di Mare del 2017 è il suo libro d’esordio. Calafiore è l’ultimo lavoro di aprile 2019.




giovedì 13 giugno 2019

BAMBINI "SOLI" CON L’INCUBO DI DIVENTARE CIECHI - UN MODO STRANO E VIOLENTO DI VOLER BENE ED ESSERE ALTRUISTI


   
   Al “Cine-Teatro Aurora”, a Belvedere di Siracusa, alcuni giorni fa, è andato in scena uno spettacolo tratto dal libro  “I bambini della Croce Bianca – Racconto da una cronaca del 1960” di Carmelo Miduri – Lombardi Editori, 2007.
   


   Una storia vera e triste che fa i conti con il duro mondo degli adulti. Il racconto scenico si svolge nell’arco di un anno, a cavallo del 1960-61. L’esperienza diretta, vissuta da tanti bambini in età scolare, anche in altre parti della Sicilia, nella  identica  realtà descritta nel racconto, si allarga ad un arco di anni che vanno dal 1955-1972, anno nel quale la struttura è stata chiusa.


                                               Il Tracomatosario di Bivona

Un gruppo di bambini ospiti del Tracomatosario

   Il racconto si svolge dentro il  tracomatosario di Bivona, un luogo, una struttura che a partire dalla metà degli anni ’50, del secondo dopoguerra, ospitò migliaia di bambini affetti dal tracoma. Questa era una malattia infettiva che colpisce gli occhi, soprattutto dei bambini, più dannosa di una congiuntivite, perché poteva colpire anche la cornea. La causa dell’infezione era dovuta ad un batterio che si poteva trasmettere con il contatto da mani infette, da indumenti contaminati e da insetti. Se non veniva trattata poteva portare alla cecità. Nella struttura bambine e bambini venivano curati, sfamati ed obbligati alla frequenza di una classe elementare in base all'età ed alla classe frequentata fino al momento dell’ingresso nella struttura.
    Nei suoi tre piani, era molto grande e caratterizzata, all'ingresso, dalla bandiera italiana (che Gino, il protagonista nel racconto e nella pièce teatrale,  non aveva mai visto prima di allora) e da un grosso scudo rosso con una croce bianca in mezzo. Questa imponenza, per tanti bambini che vivevano in piccoli paesi, e il grande scudo rosso con in mezzo una croce bianca si caratterizzarono, insieme alla triste esperienza vissuta, come i segni distintivi di quel posto. Inoltre la presenza, durante la messa domenicale, di persone anziane che indossavano un mantello con lo stesso stemma (Ordine dei Cavalieri di Malta) rafforzerà in loro memorie difficili da dimenticare.
   Dentro il tracomatosario vigeva una disciplina di tipo militare, con orari rigidi da osservare. Vi erano grandi camerate, quella del dormitorio era inframezzata da un muretto con il vetro,  serviva a separare un certo numero di lettini di alluminio con una copertina con la croce bianca, con accanto un piccolo comodino. Le guardiane/custodi dormivano nelle camerate loro assegnate e controllavano anche i bisbigli. 

                                      Il Tracomatosario oggi in abbandono

   Per i tanti dettagli del racconto di Miduri, rinviamo alla interessante lettura del libro. Qui vi diciamo subito che a partire dal 1960, in Sicilia la malattia era stata quasi debellata e i bambini dentro la struttura ormai venivano inseriti per ben altri motivi. I più importanti erano legati al fatto che molti genitori, a volte entrambi, erano costretti ad emigrare, che le famiglie in disagiate condizioni economiche venissero aiutate a sfamare qualche bocca, a volte per reali problemi di salute, altre. per sottrarre qualche minore al clima violento che ci poteva essere in famiglia, ma anche per tenere al sicuro qualche bambino di qualche affiliato alla mafia (questo passaggio sulla mafia è stato inserito dall'autore per dare vivacità ed interesse al racconto).
   I bambini attraverso particolari canali e con una certificazione medica falsa, compiacente, fatta a fin di bene, venivano accompagnati nella struttura e vi restavano fino al termine del ciclo scolastico delle elementari. T1,T2, T3 erano le espressioni, gli strani acronimi che i bambini impararono subito. Il tracoma di tipo 1 era il meno grave e la stragrande maggioranza di bambine e bambini ne erano “affetti”. La “cura” consisteva nell'applicazione, due volte al giorno, di una pomata antibiotica. Da un tubettino, con un gesto rapido dell’infermiera, una  piccola quantità veniva inserita nell'occhio. L’immediato sapore acre in gola e le rassicuranti parole “ti farà bene” dette a ciascun bambino facevano il paio con le terribili domande che attraversavano le loro menti.
   Perché sono qui? Perché mi è stata tenuta nascosta la malattia agli occhi? Diventerò cieco? La mia famiglia mi ha abbandonato? Domande senza risposte. Il pianto, lo sconforto, gli incubi  si accompagnarono al senso solitudine ed abbandono in tante notti in quei lettini d’alluminio. La struttura è situata nella zona alta di Bivona, i primi freddi autunnali intensificarono quei brividi di freddo che il povero Gino provò il primo giorno dell’arrivo. Con l’inverno anche la neve, i fiocchi sbattevano sulle vetrate, Gino veniva da una città di mare e la sorpresa fu tanta che per un poco gli fece passare la sensazione dell’intensificarsi del freddo.

                                      
                                                      Cacciapetra (fionda)
   In qualche modo i bambini, pur soffrendo e subendo la prepotenza degli adulti, tendono a preservarsi e ad entrare in sintonia fra di loro. Gino lo fece, per pura empatia, con i suoi compagni di viaggio, Pippo e Bartolo. Poi al gruppetto si aggiunse Rosalba ed infine Totò, Totò Cardinale di due anni più grande. Nel gruppo man mano che passavano le settimane si intensificava il rapporto di affiatamento. A cementarlo bastarono piccole cose, come la capacità di Gino di “fabbricare” mazzi di carte siciliane, tagliate a misura, da un scatola di cartone e disegnate a mano nei minimi particolari (era in grado di disegnarne un mazzo completo in un giorno!!), usate come mezzo di baratto con altri piccoli giuochi, come il rocchetto di legno, dove si avvolge il filo da cucito, facendolo girare con elastico diventava il carro armato, o un pezzo di canna secca e cava, che per qualche metro girava come un elicottero, frutti del lavoro con  il coltellino con cui Totò intaglia i suoi giocattoli o  la cacciapietra/fionda che Gino aveva nascosto agli occhi dei custodi e che consegnò  a Rosalba. Lei la custodirà come un tesoro, in un posto segreto che solo lei conosceva. I componenti del gruppo furono i soli a scoprire un luogo segreto, nelle cantine del tracomatosario, conosciuto come la prigione. Questa altro non era che la caldaia dentro cui dimorava un cane cieco a guardia della stessa, ma nel passa parola dei bambini veniva identificata, con le relative minacce da parte del direttore, come il luogo buio e segreto dove si poteva essere rinchiusi se non si eseguivano i rigidi dettami che il personale imponeva in maniera a volte cruda e con certe dosi di sadismo. Rosalba in scena racconterà l’episodio della sua umiliazione pubblica. Per essersi buttata un poco di latte addosso, a colazione, una delle signorine/custodi le strappò la camicetta fino al ventre e la costrinse, nuda, a stare davanti a tutti su un banco per tutto il tempo della colazione. 

                                   
                                  Marta Amatore (Rosalba) e Sebastiano D'Ambrogio (Gino)  

   Di contro l’afflato amicale si rinsaldava sempre più, ora Gino, Pippo, Bartolo, Rosalba e Totò si percepivano  come una famiglia. Gino in effetti, in cuor suo, aveva inserito nella famiglia anche Maria, una delle signorine che lo aveva preso a ben volere quando lo aveva confortato qualche volta di notte sentendolo singhiozzare e spesso lo aveva portato con sé in paese, a Bivona, per delle commissioni. Qualche volta Gino le faceva compagnia anche quando Maria si incontrava con il suo fidanzato, un tenente dei Carabinieri. Sarà proprio il tenente, nell'ambito delle indagini a lui affidate a scoprire che Totò Cardinale in verità si chiama Salvatore Caruso ed era figlio di un mafioso che dovendo trasferirsi in America per motivi attinenti all'affiliazione credette opportuno affidare il figlio, dietro compenso, alle attenzioni del maestro dei bambini, per via di una lontana relazione parentale della moglie con quella famiglia, insomma lasciarlo in mani sicure. Il tenente alla fine delle indagini verrà a capo di tante cose, a partire dalle false certificazioni mediche dei bambini e fino ad avere la certezza che il bambino Totò era figlio del mafioso Francesco (don Ciccio) Caruso.  

  Carmelo Miduri dopo aver raccolto da conoscenti ed amici vari stimoli a che il suo racconto potesse diventare qualcos'altro contatta e poi incontra Enzo Firullo per vedere se era possibile  una trasposizione teatrale. Enzo, da uomo di teatro a tutto tondo, anche se il  genere che la sua compagnia ha portato e porta in scena è diverso,  crede, in forza della sua esperienza, che questo spettacolo  avrebbe ottenuto un positivo riscontro dal pubblico.
  A questo punto Carmelo Miduri pensa di mettersi al lavoro per scrivere il copione da rappresentare e si ricorda dei lavori e delle collaborazioni con Toi Bianca, dai programmi tv ai libri “Siracusa & Droga”  (Edizioni La Pira, 1987) ed “Un anno in quaranta e-mail” (Lombardi Editore 2005) ed alle tante condivisioni di altri progetti. I due amici scrivono il copione, Enzo Firullo lo adatta per la sua regia.   

   
  Noi abbiamo letto il racconto sia dopo la prima presentazione del libro, sia prima di assistere alla pièce teatrale. Alla luce del resoconto che, qui, abbiamo cercato di riassumere, i contenuti del libro, la CO.MI.CA. (COmmedia Musical Italiano Cabaret), la compagnia di teatro di Enzo Firullo, lo ha interpretato con tanta professionalità e con tutto l’amore per il teatro di cui è capace.
    La messinscena, nel susseguirsi del suo contenuto recitato,  si è intrecciata con la voce di Laura Valvo che esplicitava le sequenzialità della cronaca del tempo e, a tratti dalla voce narrante di Agnese Firullo che aveva la funzione di legare i momenti del racconto di Miduri. Ad intervalli durante la recita venivano proiettati brevissimi flash di una serie di filmati e foto degli anni ’60, ad esempio, tratti da “Le avventure di Rin tin tin”, che era la serie televisiva che i ragazzi potevano seguire ogni pomeriggio nel salone della tv. Fuori scena, in sala, appropriate sonorità musicali eseguite da Romualdo Trionfante, dei Cantunovu, hanno accompagnato momenti particolari della recita. Lo spettacolo si chiude con una canzone di Francesco Firullo (autore delle musiche) cantata da Agnese Firullo. Un plauso speciale vogliamo riservarlo ai due bambini  Marta Amatore (Rosalba) e Sebastiano D'Ambrogio (Gino)  che hanno recitato in maniera impeccabile. Un ringraziamento importante a Peppe Migliara per le foto.


    Aggiungiamo, a bella chiosa,  che una parte del prezzo del biglietto pagato da tutto il pubblico presente, in ogni ordine di posti, è andato in beneficenza all’UNICEF.

Salvatore Spallina

venerdì 15 febbraio 2019

DIALOGO IMMAGINARIO CON IL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI


  
                                    Carlo Maria Martini


   “Eppure io resto convinto che la vera sfida a ciascuno di noi è proprio questa: individuare spazi di libertà, di discrezionalità, di creatività dentro i ruoli che ci hanno assegnato, nello svolgimento dei compiti che ci sono stati affidati…..”[1]


  Caro cardinale Carlo Maria Martini, ci perdonerà questo incipit. Prendiamo in prestito uno schema a lei tanto caro, cioè la forma della lettera/conversazione dialogica, per cercare di seguire, non solo, le tracce “visibili” che ci ha lasciato in dono, durante il suo cammino, intorno a temi che caratterizzano la nostra attualità ed il nostro futuro prossimo, ma anche quelle “spirituali” cui poter attingere per poter costruire progetti futuri in cui proiettare forme di convivenza a misura d’uomo. Lo sappiamo, ci rendiamo conto che è una sfida difficile, ma Lei ci ha abituati al fatto che queste sfide vanno accolte cercando di trasformarle in sogni dai quali non si può disgiungere un elemento essenziale, quello di volerci credere fino in fondo.
   Gli argomenti su cui vogliamo dialogare con Lei solo i seguenti:
-          Come comunichiamo, cosa ci comunichiamo oggi
-          Il coraggio del voler confrontarsi senza paura 
-          Progettare “la nuova città” cui guardare attraverso il dialogo ecumenico

   Cercheremo di prendere in esame i contenuti, gli spunti, le proiezioni che abbiamo incrociato nelle sue “parole”, nei suoi “verbi”, nelle sue “intenzioni”, nei suoi “sogni” per rendere più chiaro il nostro percorso. Le tracce che ci hanno avvicinato a Lei le abbiamo incrociate, nel nostro cammino della vita e nel nostro lavoro, a partire dalle  Lettere Pastorali, durante il suo magistero nella Arcidiocesi di Milano, nelle Cattedre dei non credenti e poi via via nei tanti documenti cartacei, televisivi, nei quali ha espresso il suo pensiero intorno a queste tematiche. Siamo stati, di recente, al Duomo di Milano. Insieme a noi tante altre persone, a noi sconosciute, a pregare e a riflettere sulla sua tomba,  in un raccolto silenzio, per far nostro il pensiero “Pro veritate adversa diligere”. Durante questa preghiera abbiamo ripensato alla testimonianza di Marco Garzonio, a Lei tanto caro ed amico, che afferma che quando si sosta intorno a quella lapide si ha una netta sensazione di gioia, come se ci si rifugiasse in un ritrovo dell’anima. 
    Nelle società di oggi, prendendo in esame il primo argomento, le relazioni, i contatti con il mondo, fra le persone risentono della pervasività che il mondo dell’elettronica esercita. Gli “utensili” digitali, coadiuvati dall'elettronica, lo erano già durante il suo magistero, quando non sono addirittura installati in noi stessi, controllano e regolano i legami con il mondo. Questa dimensione è vissuta e sentita, anche se sembra strano, in maniera irreversibile da quelli che non vivono questa dimensione della vita. Anche loro, alla fine, ne restano influenzati e comunque partecipi. Siamo già entrati nell'era di una sorta di immaterialità fatta di finanza liquida, moneta liquida, amori liquidi, da bere e consumare all'istante, lavoro liquido, sottopagato, buono a colmare solo desideri ma non i sogni, che sono troppo lunghi e complessi per poterli realizzare subito.
   Questo nuovo modo di conoscere, di pensare, di trasmettere valori, di comunicare, cambia, muta in continuazione, trasforma il nostro modo di percepire e vivere la realtà che ci circonda.  Le nostre relazioni umane, caro Cardinale, il nostro contatto con la cultura digitale sta progressivamente bruciando tappe evolutive in svariati campi, dallo sviluppo industriale, all’automazione; nel villaggio globale, il teletrasporto ci fa quasi vivere il dono della ubiquità. In questi giorni nella sua Milano, tanto amata, stanno per nascere due grandi uffici di WeWork con circa duemila dipendenti per favorire la collaborazione tra i professionisti e per aiutare le aziende a crescere e a espandersi. Team di persone attive nel territorio ma che possono far leva sulla esperienza di oltre 280 altre location sparse nel mondo. Il fine? poter fornire servizi e spazi di altissima qualità dai migliori standard. Tutti questi intrecci materiali e modulari,  cose che, anche quindici, venti anni fa non avremmo creduto potessero accadere, stanno mutando radicalmente anche i rapporti interni alle famiglie ed anche all’interno delle cerchie di amici. Solo fino a pochi anni fa la tecnologia indicata come progresso, automazione, sviluppo industriale,  non aveva nulla a che fare con le esperienze, i rapporti relazionali di amicizia, oggi non è più così.
   La tecnologia e le relative connessioni, annullando i confini geografici, “creano” comunità che nella realtà non esistono e non esiste nessuna garanzia sulla durata delle stesse, con tutti i suoi componenti. Oggi più di ieri il mondo delle immagini, il loro primato, sono dentro noi stessi. Fra pochissimo, si può dire che ci siamo già dentro, con le applicazioni di “realtà aumentata” si potranno realizzare, a distanza, cose prima irrealizzabili.
   Lei nel film di Ermanno Olmi, “Vedete sono uno di voi”, ci racconta: “mio padre per comunicarmi la fine della guerra venne da Orbassano a Cuneo, 80 km, con una bicicletta per darmi la buona della fine della guerra, Cuneo era rimasta isolata dopo che i tedeschi avevano fatto saltare un ponte che la collegava alle strade principali”[2].  No, no Cardinale, con questa citazione, non vogliamo coinvolgerlo in una nostra visione nostalgica, no, vorrebbe dire che stiamo dialogando con la persona sbagliata!, la stiamo utilizzando solo per dire che, rispetto alla sua ultima esperienza, oggi siamo già entrati in una nuova dimensione della comunicazione, nella quale, rasa al suolo quella, però, non abbiamo la certezza, che quella attuale sappia trasmettere calore, amore, come quello che ha spinto suo padre a percorrere quegli 80 chilometri.
   Oggi dove tutto è velocità e concretezza, siamo/restiamo “chiusi” più tempo dentro di noi. Ci dobbiamo chiedere  quanto riusciamo a stare “fuori” da questo isolamento, chi incontriamo, dove andiamo e quanto, invece, sentiamo prepotente il bisogno di far ritorno “dentro”, dove i problemi dello stesso mondo esterno sono diventati una appendice da vivere solo lo stretto necessario.
   Dobbiamo recuperare una serie di relazioni a misura di sguardo, come Lei ci ha insegnato, esercitare maggiormente un ravvicinato controllo dei nostri atti, confrontare ed affinare tutte quelle capacità emozionali che scaturiscono “dall’incontro”, anche durante tutta la giornata lavorativa. Stiamo estraniando, buttando fuori dal comunicare, la bellezza, oggi scambiata e deformata in semplice piacere di pronto ed immediato consumo, dunque da ricercare in continuazione per essere di nuovo consumato. Meno di ieri si insegna che la bellezza va oltre il semplice vedere, per imparare a cercare ciò che è nascosto, per scorgere le differenze, che, a loro volta, nascondono il senso di qualcosa di inesprimibile, di inafferrabile, ma, nello stesso tempo, inalano in noi l’insopprimibile desiderio di andare oltre ciò che stiamo vedendo. Come Lei ci ricorda, se ne siamo ancora capaci, dovremmo trasmetterci qualcosa  che abbia a che fare con la bellezza, si, con la bellezza di Dio, che sta lì nello sfondo, non visto e non cercato nel moderno comunicare. Crediamo che il “bello” debba tornare ad assurgere, più che mai, a modello per ogni uomo. La bellezza, che qui intendiamo come esplicitazione del bene, non è solo oggetto della comunicazione, ne è anche lo stile. Lo stile comunicativo, dunque, partecipa, in qualche modo, del suo contenuto, della bellezza comunicata.
   Ora entriamo nel secondo punto del nostro dialogo: Il coraggio del voler confrontarsi senza paura.  
    Cominciamo col dire che ce n’è voluto tanto…di coraggio…. ricorda, Cardinale, quando, nel suo nuovo incarico, Arcivescovo di Milano, la diocesi più grande del mondo, seppe superare  paura ed incertezza nell'affrontare le nuove sfide che la vita e la realtà milanese le mettevano sul suo cammino.
   Neanche un mese dall'insediamento e i terroristi di Prima Linea uccisero il magistrato e docente Guido Galli. Non ebbe nessuna esitazione. Benché turbato e scosso, andò subito a pregare e a benedire la salma, ancora calda, nel corridoio fuori dall’aula dell'Uni­versità statale dove era stato freddato con due colpi alla nuca, dopo il primo ferimento: “bisogna­va partecipare da vi­cino alle sofferenze della gente e portare il conforto della pre­ghiera, disse”[3]. Due mesi dopo, sotto il piombo terroristico, venne fatto fuori il trentacinquenne Walter Tobagi, giornalista del Corriere, cattolico, padre di due piccoli bambini.  Lei  si trovava a Roma. Sentì il bisogno immediato di prendere la macchina e correre a Mi­lano, una Milano incredula, sbigottita, terrorizzata. “Ero senza parole, raccontò in seguito, di fronte a tanta sofferenza. Ricordo che ai funerali, in­sieme al dolore, vedevo tanto coraggio e determinazione nella innumerevole folla accorsa. Milano voleva reagire con grande forza e con grande dignità. Non era la paura che dominava, ma la vo­lontà di resistere. Ricordo molto bene anche il dolore e la grande compostezza dei familiari, lo smarrimento de­gli amici, il sincero cordoglio di tutti”[4]
    A quel funerale seppe cogliere bene quei segni Ferruccio De Bortoli che, nella stesura di una memoria in suo ricordo, ha esternato così ”… l'omelia di Martini ci colpì al cuore. Non solo noi che conoscevamo Walter e ne piangevamo la scomparsa. Mentre l'Arcivescovo parlava in una chiesa del Santo Rosario affollata fino all'inverosimile, notai le lacrime delle persone accanto a me che, al massimo, l'avevano letto qualche volta e non l'avevano forse mai sentito nominare prima. Quella fu, secondo me, la svolta, perché il velo della sofferta rassegnazione con la quale si assisteva, impotenti, alla catena di delitti si squarciò d'incanto. Un'occasione così triste si trasformò nel grido di una città che diceva no al terrore e alla violenza”[5].
   La visita ai terroristi, prima a San Vittore, a Milano, poi nel carcere di Torino, il battesimo dei due gemelli di Giulia Borrelli, nati in carcere, “proverei una profonda repulsione verso me stessa se dovessi riconoscere di aver strumentalizzato quanto ho di più caro, disse Giulia,….se ci siamo rivolti al cardinale Martini è perché riconosciamo in lui il punto di riferimento spirituale per i detenuti e per questo abbiamo chiesto che fosse lui a battezzare i nostri figli che in carcere hanno trascorso la prima parte della loro vita”[6]. I colloqui con i carcerati e poi la voglia di aprire il loro cuore quando racconta le loro parole: “quando noi sparavamo non vedevamo la gente, era come se avessimo buio davanti a noi, sparavamo nel buio. Quando abbiamo cominciato a capire che c’erano delle persone umane abbiamo cominciato a cambiare idea, a cambiare cuore “[7]. E poi la consegna delle armi e degli esplosivi dei terroristi di Prima Linea, in due borsoni, accompagnata da una lettera: “riceva Eminenza la nostra spontanea rinuncia alle armi, questo è un segnale che affidiamo alle sue mani per la ripresa del dialogo interrotto dalle nostre gesta nel clima di scontro degli anni scorsi. Siamo certi, Eminenza che saranno in buone mani. Suo in Cristo attraverso l’uomo. Ernessto Balducchi”[8].
    Dopo le titubanze dei primi anni, come ricorderà, era ormai diventato un punto di riferimento per una intera Comunità. Sapeva far discendere con la consapevolezza pastorale di chi sa da dove tirarla fuori, per le situazioni che di volta in volta si venivano a creare e nelle quali era richiesto il suo intervento, una ricchezza “divina”, fatta di cammini concreti, di profondità nelle proposte, di semplicità nel linguaggio. Le fonti di tutta questa ricchezza provenivano dai Testi biblici, dai Vangeli, da tante parabole di Gesù, dagli Atti degli Apostoli, dalla Dottrina Sociale della Chiesa, da tutti i documenti del Magistero Pontificio dopo il Concilio Vaticano II. 
  Tantissimi gli interventi con riflessioni sempre centrate fra economia ed etica, sulle tematiche del lavoro, sia pubblico che privato ed anche sul rapporto fra l’attività imprenditoriale ed il tema del profitto. Su questo argomento il suo punto di vista non ha mai suscitato dubbi in proposito: il profitto non andava demonizzato né divinizzato. Ai suoi interventi, in tante situazioni concrete, guardarono con attenzione donne e uomini impegnati nel mondo del lavoro. Nessuno Le poté mai addebitare un atteggiamento di parte, nel merito. Il cuore dei suoi contributi ruotava intorno a tre punti centrali: la dignità dell’uomo, la dignità del lavoro, la dignità della famiglia. Invitava quelli che avevano responsabilità a farsi carico delle loro decisioni per modificare, per incidere, per risolvere al meglio, nelle realtà nelle quali operavano, le questioni in corso. Sul “Vangelo della responsabilità”, se così poteva essere definito, era incentrato tutto l’impegno della Chiesa in cui ha esercitato il suo Magistero. 
   Riguardo al mondo del lavoro ci piace qui ricordare le “Giornate della solidarietà”, il “Foglio della Pastorale del lavoro della Curia di Milano”, le “Veglie dei lavoratori” cui ha partecipato, le presenze in fabbrica, a Monza (solo per fare qualche esempio), dove già i primi sintomi della globalizzazione facevano cadere gli effetti del trasferimento della produzione in regioni dell’Europa più convenienti sotto il profilo salariale, o all'ACNA di Cesano Maderno, dove anche lì si rischiava la chiusura della fabbrica. In quella occasione disse:  "…la mia presenza vuol dire che la Chiesa ambrosiana è con voi, con tutti coloro che sono in situazioni particolarmente difficili….. la soluzione spetta alle diverse realtà  sociali implicate. Ma il mio essere qui è nel nome del Vangelo, come voce del Vangelo che è voce di chi non ha voce. Ed è in forza di questa voce che è necessario proclamare qui, come radice e sorgente di tutte le soluzioni pratiche, il primato dell'uomo e del lavoratore sul lavoro stesso. Da ciò deriva la lotta senza quartiere per la distruzione del profitto come idolo a cui si sacrifica tutto il resto"[9].
   Caro Cardinale tanti sono i punti che vorremmo ancora prendere in esame su questo tema del coraggio, ci vorrebbero fiumi di inchiostro e spazi di scrittura immensi. Sentiamo, però,  di non poterci esimere dal far cenno a due temi scottanti e di grande attualità. Per prima vogliamo parlare del tema dell’immigrazione. Auspichiamo, nel merito, che le Sue parole,  a distanza di più di vent'anni, possano risuonare e trovare spazio non solo nelle menti degli uomini politici, cui spettano decisioni importanti,  ma anche in quelle dei tanti cittadini cattolici e non cattolici che, in questi giorni mentre scriviamo, sembra abbiamo dimenticato che “la Chiesa avverte la tematica dell’accoglienza degli stranieri quale esperienza vicina alle proprie origini, quale occasione per rinnovare la nostra coscienza. Possiamo dunque affermare che l’immigrazione può essere una circostanza provvidenziale anche per l’Occidente, per impegnarsi in profondità. Occorre una disposizione del cuore e vedere – l’ho sottolineato altre volte – in tale fenomeno un appello a un mondo più fraterno e solidale, a un’integrazione multirazziale che sia segno e inizio della presenza di grazia di Dio in mezzo agli uomini. L’immigrazione è davvero un’occasione storica per il futuro dell’Europa, occasione di bene o di male, a seconda di come la governeremo…..Ricordiamoci che, affrontando correttamente i problemi che quotidianamente vivono nel nostro Paese gli stranieri, contribuiremo alla soluzione di tanti problemi strutturali riguardanti pure gli italiani. Non si tratta di scatenare pericolose rivalità tra persone in stato di bisogno; si tratta piuttosto di affrontare globalmente i problemi posti sul piano sociale dall'immigrazione, con vantaggio per tutti, a partire dai più deboli e dai più sfortunati”[10].

   Il secondo riferimento riguarda il ruolo dell’Europa sia nella stretta attualità che nella prospettiva del rinnovo delle Istituzioni democratiche che avverrà nei prossimi mesi. Siamo a conoscenza degli interventi e del lavoro instancabile compiuti sia dai suoi predecessori che da Lei stesso, a partire dal 1986, anno della sua elezione alla CCEE  (Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa), a favore delle Istituzioni europee. Ma qui nel dettaglio ci teniamo a ricordare il Suo intervento, lungimirante e profetico, tenuto al Parlamento europeo, a Strasburgo nel 1997: “Ritengo si possa dire che l’Europa si trova di fronte a un bivio importante, forse decisivo, della sua storia. Da un lato le si apre la strada di una più stretta integrazione: le linee per realizzarla sono molte e in gran parte sono incluse nella sua stessa storia. Dall'altro lato, la strada che può aprirsi è anche quella di un arresto del processo di unificazione o di una sua riduzione solo ad alcuni aspetti non pienamente rispettosi dei valori su cui deve fondarsi una vera unione (..). La scelta, dunque, sembra essere tra un’unità più stretta capace di coinvolgere un maggior numero di popoli e nazioni e una battuta d’arresto che potrebbe portare alla disgregazione dell’edificio europeo o alla identificazione di tale edificio con una sola parte del Continente”[11].

   Caro Cardinale, guardando al terzo punto del nostro dialogo: Progettare “la nuova città” cui guardare attraverso il dialogo ecumenico.
   Vorremo partire da una certezza cui abbiamo guardato e che abbiamo sempre cercato di trasmettere nel corso della nostra esperienza di lavoro con i giovani. I nostri pensieri, le nostre certezze hanno preso forza e vigore, in maniera sempre più marcata, quando abbiamo incrociato le sue riflessioni, i suoi insegnamenti al riguardo.
   Il nostro primo impatto con uno Stato, in quanto cittadini, lo abbiamo con la città dove nasciamo, dove viviamo con la nostra famiglia, dove si sviluppano i primi momenti della nostra vita civile e sociale. “In forza della sua complessità localizzata, la città permette tutta una serie di relazioni condotte sotto lo sguardo e a misura di sguardo, e quindi esposte al ravvicinato controllo etico, e consente all'uomo di affinare tutte le sue capacità. Essa è infatti sempre meno un territorio con caratteristiche peculiari, e sempre più un mini-Stato dove si agitano tutti i problemi dell’umano. È perciò palestra di costruzione politica generale ed esaltazione della politica come attività etica architettonica. Appena perdi la sicurezza dell’appartenenza, dal momento che ci si isola dal territorio nel quale si vive, l’estraneità nei riguardi di tutto ciò che esula dal nostro sguardo, a partire dai diversi, dagli stranieri fa aumentare in noi a dismisura la paura dell’altro. L’isolamento crea paure e insoddisfazione. Ci rifugiamo nella recriminazione per pretendere che qualcuno ci difenda da chi non si conosce e non abbiamo fatto nulla per conoscerlo, dal vicino di casa che disturba la nostra quiete familiare, allo straniero e ai diversi che percorrono le vie che siamo abituati a frequentare”[12].
   Queste idee di partenza ci sembrano rappresentare il cuore del discorso che vogliamo sviluppare su questo punto. Il suo sguardo ed il suo riferimento specifico erano riferiti alla città di Milano. La sua esperienza e le proiezioni del domani ci dicono che le dimensioni delle città cresceranno a dismisura. I nostri ragazzi di questo terzo millennio dovranno fare i conti, probabilmente, con città molto più estese di Milano, dovranno relazionarsi con un numero di persone molto più grande.  Secondo i suoi insegnamenti dobbiamo sforzarci di comprendere anche ciò che avviene intorno a noi, perché non possiamo/dobbiamo rinunciare a comprendere i problemi che la nostra epoca ci mette davanti. Connessi ai progetti di queste “nuove città” non possiamo disgiungere i problemi dell’ambiente e quello delle risorse, sia naturali che materiali.  Alcuni dati della FAO, riferiti al 2014, mettono i brividi: il 54% della popolazione  è ammassato in centri urbani, diventerà il 70% nel 2030. Quando pensiamo a questi numeri, Cardinale, pensiamo a tanti giovani, già ne conosciamo molti, che saranno costretti dalla vita, dalle aziende per cui lavorano o collaborano, ad andare a vivere in città ed in grattacieli-alveari nelle grandi periferie delle megalopoli asiatiche sia esse cinesi che indiane o europee. Tra dodici anni le prime sette città più popolate saranno in Asia,  sommeranno 205 milioni di abitanti.
   Parlare di bene comune, di sostenibilità, legati alla difesa del territorio può suonare come un discorso astratto. Ma è lo spirito che ci deve accompagnare il questo cammino cui noi guardiamo, cui bisogna guardare, quello spirito che ha saputo infondere alla comunità milanese quando neanch'essa pensava fosse possibile coniugare la Parola e i sogni.  Dovremo fare appello alla nostra coscienza cristiana, rimboccarci le maniche e cominciare ad abbattere i muri fuori e dentro di noi.  Le città e le persone non stanno ferme, si muovono per conservare ed innovare allo stesso tempo, per custodire e donare, per sviluppare  tutte quelle componenti che con la propria cultura si portano dentro. Quella che appartiene ad un cristiano è fatta di Parola, di libri, di condivisione, di missione, di speranza, di carità. A questi elementi si devono aggiungere la libertà congiunta con l’etica della responsabilità, l’amore per l’altro. 
   Faremo tesoro degli insegnamenti cristiani che ci portiamo dentro ed anche del valore del sapere scientifico, e Lei, caro Cardinale, da questo punto di vista, rappresenta un esempio luminoso. Ci ha insegnato che ogni sapere, ance quello più altamente scientifico e tecnologico non può essere disgiunto dall'idea, dal fatto di voler rinunciare a qualcosa del proprio sé, cioè di volersi sacrificare per mettersi a disposizione di un progetto che sappia guardare al bene ed alla bontà dell’agire insieme. E poi un progetto che abbia l’ambizione di voler essere credibile non può prescindere da un approccio scientifico che sappia curare e svilupparne i momenti, ma la scienza non può bastare a se stessa. Se in questo progetto c’è dentro la vita dell’uomo le sole soluzioni tecniche saranno poco efficaci se trascureranno due degli elementi più importanti del saper vivere insieme: l’idea di rinunciare ad una piccola parte di sé, cioè di volersi sacrificare per l’altro e quella di trovare dentro di noi quella parte di bontà, dono di Dio, che ci portiamo dentro per metterla a disposizione di tale progetto.
   Cercheremo di farlo noi, per quel che ci resta da vivere, e chiederemo ai giovani di questa e delle generazioni a venire di stringere forte al petto per poi trasferirlo al cuore ed alla mente “Il piccolo manuale della speranza; Vivere con fiducia il nostro tempo”[13], oltre ai tanti altri insegnamenti che abbiamo tratto e trarremo dai suoi esempi. Invece di globalizzare l’indifferenza, come continua a denunciare papa Francesco, cui non ha avuto la gioia di poter stare vicino, ma che ne ha profetizzato l’ascesa, dovremo imparare e mettere in pratica la globalizzazione della solidarietà, la sussidiarietà, sia nel diffonderla che nella pratica attiva.
   Andiamo a chiudere questo nostro breve, ma intenso scambio di pensieri, caro Cardinale, e non possiamo che esprimere tanta gratitudine per la “stretta” compagnia della quale abbiamo goduto e della quale abbiamo profittato in questo tempo occupato ad elaborare queste righe.
  Tutti noi abitanti di questo tempo futuro, di questi spazi, in questo viaggio terrestre dobbiamo imparare e trasmettere questi concetti che da Lei stiamo ereditando, ne saremo capaci?. Cercheremo di portarceli dentro nella nostra quotidianità. Se mancheranno questi  strumenti essenziali la costruzione del prossimo futuro diventerà poco credibile.
  La Gerusalemme Celeste, cui dovremo tutti noi guardare, è figlia anche di quella Gerusalemme terrestre dove per tanti anni ha vissuto ed ha avuto modo di sperimentare realmente come la preghiera, la convivenza e la tolleranza reciproca siano state e sono possibili, contrariamente a quel che sembra e a quel che una informazione, a volte, superficiale e fatta di luoghi comuni sembra rimandare. “A Gerusalemme si respira la storia biblica dai patriarchi ai profeti, fino a Gesù. Questa è la terra che lui ha visto, il cielo che ha contemplato, il suolo, le pietre che ha calpestato, dove ha sparso il suo sangue e dove si è diffusa la parola: Risorto”[14] .
   Temprati da questo “incontro”, facciamo totalmente nostro questo pensiero: “Consegna ai tuoi figli un mondo che non sia rovinato. Fa sì che siano radicati nella tradizione, soprattutto nella Bibbia. Leggila insieme a loro. Abbi profonda fiducia nei giovani, essi risolveranno i problemi. Non dimenticare di dare loro anche dei limiti. Impareranno a sopportare difficoltà e ingiurie se per  loro la giustizia conta più di ogni altra cosa “[15].

  Salvatore Spallina

   Carlo Maria Martini (Torino 15/02/1927 – Gallarate (Varese) 31/08/2012), gesuita, biblista di fama internazionale, è stato arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002. Dal 1986 al 1993, presidente della CCEE  (Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa). È autore di numerose opere e pubblicazioni scientifiche, di tanti altri scritti, a vario titolo, su suoi interventi in molti ambiti. Di particolare interesse sono “Le lettere pastorali” durante il magistero milanese. Dal 2009 al 2012 ha tenuto una rubrica mensile sul “Corriere della Sera”, dal titolo Lettere al Cardinale. Qui ci piace citare Le 12 Cattedre dei non credenti dove sono state prese in esame diverse tematiche. Il rapporto con la città, con i sentimenti, il dolore, la violenza, la scienza, l’ateismo, la poesia, l’arte, l’universo, la fede. “Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro, si interrogano a vicenda …. Io chiedevo non se siete credenti o non credenti ma se siete pensanti o non pensanti. L’importante è che impariate a inquietarvi. Se credenti, a inquietarvi della vostra fede. Se non credenti, a inquietarvi della vostra non credenza.  Solo allora saranno veramente fondate ”.




[2] “Vedete, sono uno di voi”Il regista Ermanno Olmi racconta Carlo Maria Martini, 2017; DVD Prodotto da Istituto Luce Cinecittà con Rai Cinema
Martini: i miei anni di piombo e di speranza, di Alessandro Zaccuri
 [5] Vergottini M. (cur), Martini e noi, Piemme, Milano 2015, pag. 310
 [6] “Vedete, sono uno di voi”Il regista Ermanno Olmi racconta Carlo Maria Martini, 2017; DVD Prodotto da Istituto Luce Cinecittà con Rai Cinema
[7] ibidem
[8] ibidem
Il lavoro: vocazione e responsabilità  nel mondo, L'episcopato del cardinal Martini a Milano e l'odierna questione sociale di Lorenzo Cantù, 15/07/2002
L’immigrazione come sfida: un contributo del cardinal Martini
Card. Carlo M. Martini:  Paure e speranze di una città, Discorso al Comune di Milano, 28 giugno 2002, pag. 690
 [13] Martini C. M., Piccolo manuale della speranza. Vivere con fiducia il nostro tempo, Giunti, Firenze 2012
 [14] ) “Vedete, sono uno di voi”Il regista Ermanno Olmi racconta Carlo Maria Martini, 2017; DVD Prodotto da Istituto Luce Cinecittà con Rai Cinema
[15] Martini C. M. - G. Sporschill, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, Oscar Mondadori, Milano 2010, pag. 124

                                                                        
                                                                        Bibliografia

Bottalico G. – Satta V., Corpi intermedi. Una scommessa democratica, Ancora Editrice, Milano 2015
Cattoi A.( cur), C. M. Martini - I. Marino: Credere e conoscere,  Giulio Einaudi, Torino 2012
Garzonio M., Il profeta. Vita di Carlo Maria Martini, Arnaldo Mondadori Editore, Milano 2012
Garzonio M., Ritorno a Gerusalemme. Il cammino del cristiano i Terra Santa con Carlo Maria Martini, Edizioni Terra Santa, Milano 2018
Martini C. M., Piccolo manuale della speranza. Vivere con fiducia il nostro tempo, Giunti, Firenze 2012
Martini C. M., Cerco una verità….Parole ai giovani, Piemme, Casale Monferrato 1997
Martini C. M., Qualcosa in cui credere. Ritrovare la fiducia e superare l'angoscia del tempo presente, Piemme, Milano 2010
Martini C. M., Il coraggio della passione. L'uomo contemporaneo e il dilemma della scelta, Piemme Bestsellers, Milano 2010
Martini C. M. et ALII, Le cattedre dei non credenti, Bompiani, Milano 2015.
Martini C. M. - G. Sporschill, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, Oscar Mondadori, Milano 2010
Martini M. C., Il segreto della prima lettera di Pietro, Piemme, Casale Monferrato 2005
Martini M. C., Che cosa dobbiamo fare. Smarrimento e inquietudine dell’uomo contemporaneo, Piemme, Milano 2011
Martini M. C., Cristiani coraggiosi. Laici testimoni del mondo di oggi, ITL srl, Milano 2016
Martini M. C., Il caso serio della fede, Piemme, Casale Monferrato 2002
Minerva D.( cur), C. M. Martini- I. Marino: Dialogo sulla vita, L'espresso, N 16 anno LII, 27 aprile 2006
Roverselli C., “Persone diverse: imparare a vivere insieme. L'approccio dell'educazione”, in C. Roverselli (cur), La persona plurale. Filosofia pedagogia e teologia in dialogo, Aracne, Roma 2002
Toschi L., La comunicazione generativa, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna  2015
Vergottini M. (cur), Martini e noi, Piemme, Milano 2015
Vergottini M. (cur), Affinché la parola corra. I Verbi di Martini, Centro Ambrosiano, Milano 2007
“Vedete, sono uno di voi”Il regista Ermanno Olmi racconta Carlo Maria Martini, 2017; DVD Prodotto da Istituto Luce Cinecittà con Rai Cinema
Effatà apriti
Il lembo del mantello
Sto alla porta
Quale bellezza salverà il mondo?
Alain Elkann intervista/colloquio con il cardinale C. M. Martini
Martini: i media creino ponti tra la gente (intervista/colloquio di Gianni Riotta con il cardinale  C. M. Martini
https://icpressroom.wordpress.com/2018/11/07/un-futuro-da-rincorrere/ L’innovazione avanza veloce e ci precede, la scommessa? pragmatismo e fantasia
http://www.ventochemuove.it/?p=3617  E. Scalfari e C. M. Martini - Carlo Maria Martini: Il bene comune, Il testamento spirituale di C.M. Martini  di Marco Politi
Card. Carlo M. Martini: Crescita della libertà e fede cristiana
Card. Carlo M. MartiniPaure e speranze di una città, Discorso al Comune di Milano - 28 giugno 2002
Don Ciotti: ''Era capace di parlare chiaro senza ipocrisie''
Martini: i miei anni di piombo e di speranza, di Alessandro Zaccuri
Il lavoro: vocazione e responsabilità  nel mondo, L'episcopato del cardinal Martini a Milano e l'odierna questione sociale di Lorenzo Cantù, 15/07/2002
Perché La Bibbia  è il Libro del futuro dell’Europa?
Carlo Maria Martini Arcivescovo emerito di Milano
 Cesano Boscone – Cinema Teatro Cristallo – Domenica 9 Maggio 2004
L’immigrazione come sfida: un contributo del cardinal Martini